Ferragosto campo mio non ti conosco
Alle sette di ferragosto tutto tace in Alta Valmarecchia, anche il Garbino che questi giorni ha rotto i maroni che la metà basta. Da queste parti il Garbino (Libeccio) soffia dai vicini monti e scende la valle sbattendo il mio povero volatile come una foglia secca. E siccome ho fatto mio il sacro detto “E’ meglio essere a terra con la voglia di volare che volare con la voglia di essere a terra”, oggi che è previsto NE, parto a razzo verso il mio mitico campetto di volo vacanziero che ho denominato “uanandred” (in realtà 93 metri monodirezione…).
Boiavaccadiuncane, appena arrivo chi c’è ad aspettarmi? Ma lui, bello baldanzoso che in barba alle previsioni ha deciso di rompere le balle anche stamattina, puttanavaccamaiala! E mo che faccio? Ho il motore nuovo da testare per la rivista e una “scimmia” che porta via, devo volare assolutamente. Di sicuro più tardi gira, ma se aspetto rischio di fare si e no un microvolo prima che comincino a staccare le turbolenze da calore. Ok, piano B attivato: via di corsa verso valle, a una quindicina di chilometri lungo il fiume dove la valle si allarga c’è ancora una vecchia aviosuperficie abbandonata, vuoi che non trovo cinquanta metri di prato non troppo scassato? Con il Black Bull che spinge dietro mi bastano e avanzano. Arrivo e mi si allarga il cuore, l’erba è un po’ acciuffata, ma a me che mi frega? Ho l’elica in carbonio che è meglio di una falciatrice… Insomma, mi convinco che si può andare, il fondo è ancora discreto, a membro di segugio ma si vola! Già, si vola, ma dove? Il piano originale di stare fra i monti è saltato, va beh, andrò a cercare un po’ di storia, metto la GoPro settata come fotocamera nel marsupio e via!
Prima proviamo a risalire un po’ e vediamo quanto si balla, sono praticamente nella zona dove il Garbino si mescola con l’aria che risale la valle dal mare…
Faccio subito quota (ammazza come sale ‘sto coso!) e mi dirigo verso i 900 metri del Monte Aquilone. Da qui sopra si vede tutto il fiume dalle sorgenti di Pratieghi in Toscana, lassù dove la valle va a sbattere nell’Appennino, alla foce di Rimini, 70 Km in tutto tutti davanti (e dietro) a me. Però si balla come previsto, per cui dopo un rapido giro sulla vecchia miniera punto decisamente verso valle e sull’altro versante.
Lungo la vecchia strada che sale verso il Monte Feltro, l’attuale San Leo, si trova la splendido complesso di Sant’Igne con il suo bellissimo chiostro. Sant’Igne, il nome stesso evoca qualcosa di misterioso, “ignis” significa fuoco e la leggenda narra che San Francesco, salendo il sentiero per raggiungere San Leo, vide un fuoco in mezzo al bosco ad indicare la retta via, che all’epoca non doveva essere cosa facile. In realtà, l’etimologia è comune a quella di altri luoghi della zona: Carpegna, Fusigno, Sapigno, ed è attestata nella forma originaria di Santegna sin dall’anno 1300, in una pergamena ove si stipula una riappacificazione fra il vescovo di Montefeltro ed alcuni territori della sua giurisdizione.
Ad ogni modo, Francesco d’Assisi dopo un lungo peregrinare, l’8 Maggio 1213 giunse davvero a San Leo in occasione dell’investitura a Cavaliere di un Conte di Montefeltro alla quale era presente, fra gli altri, anche il Conte Orlando Cattani da Chiusi. Alla presenza di tanta gente, Francesco non esitò e all’ombra di un olmo tenne un’appassionata predica prendendo spunto da una canzone del tempo che recitava “Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto”. Le parole del Santo toccarono profondamente il Conte Orlando, che volle dargli in dono un Monte Solitario, oggi conosciuto col nome Verna, l’eremitaggio ove il Santo ricevette le stimmate, oggi bellissimo santuario francescano.
Sul lato Nord del massiccio si vede bene l’enorme frana che sta divorando l’antico Monte Feltro, sulla cui sommità si erge severa la Fortezza.
Intanto più salgo e più le raffichette malefiche si fanno sentire, è ora di dare gas per raggiungere il Passo di Pugliano dove, da una quota di 1000 metri sorvolo questa curiosa palazzina di fine ottocento, Villa Labor, appartenuta a una facoltosa famiglia della zona. E’ diventata famosa perché al passaggio della Linea Gotica vi furono nascosti trentotto ebrei di Zagabria, grazie al coraggio e all’intraprendenza di un albergatore di Bellaria, Ezio Giorgetti, che riuscì con questo stratagemma e grazie a numerosi spostamenti del gruppo (e alla preziosa collaborazione di un maresciallo dei Carabinieri, Osman Carugno), a salvarli dalle deportazioni. Per queste azioni i due vennero insigniti della più alta onorificenza dello Stato di Israele: Giusto tra le Nazioni.
Da quassù le Rocche di San Marino si stagliano direttamente contro il mare Adriatico che crea un fantastico controluce con il sole alto… e io non ho ancora fatto colazione!
A questo punto ho due opzioni: qui sotto c’è il vecchio bar del paesello, potrei atterrare nel prato adiacente, oppure fare un salto all’aviosuperficie di San Marino-Torraccia dove la mattina di Ferragosto avranno sicuramente i cornetti caldi al bar del Club. Considerando che così mi porterei anche in aria più calma, opto per la seconda, mi godo il panorama ed eccomi in finale con il solito vento teso al traverso che fa di ogni atterraggio qui, una piccola avventura granchiforme per cui è bene stare concentrati. Cosa che non devono aver fatto i due francesi il cui rottame di Skyhawk giace tutto storto sotto un telo al parcheggio.
Porelli, pare che i due vegliardi a bordo, stanchi dopo un lungo tour siano arrivati lunghi, moooolto lunghi, capottandosi superato il fine pista. Neanche un graffio, aereo da buttare. Non è il primo da queste parti: anche il Cessna con cui ho volato la prima volta da Fano ha fatto la stessa fine qualche anno fa, incendiandosi pure…
Fra l’altro, dal simpatico signore che mi prepara il caffè vengo a sapere una curiosità: per l’Ente dell’Aviazione Sammarinese, gli ultraleggeri sono solo tre assi o elicotteri (degli autogiri non so)! Nella normativa sammarinese, paramotore e deltamotore non esistono, per cui i cittadini sammarinesi non ne possono possedere e, ovviamente, neanche esistono scuole apposite. Potrebbero prendere l’attestato italiano, ma per poterlo fare dovrebbero essere residenti in Italia. Un cul de sac insomma, anche detto bella inculata (scusate il francesismo).
Uno sguardo alla manica bella tesa mi convince che sia ora di levare le tende alla svelta, la Rocca Malatestiana di Verucchio mi aspetta!
L’origine di Verucchio è incredibile essendo ricco di testimonianze della Civiltà Villanoviana e poi etrusca. L’abitato, posto sulla sommità dell’alto sperone sopra il fiume, rappresentava durante l’età del ferro e fino all’età orientalizzante un punto centrale nel controllo delle rotte adriatiche che collegavano la Grecia e l’Oriente con l’Europa centrale e settentrionale, in particolar modo per i traffici commerciali legati all’ambra baltica. La cosa pazzesca è che il letto ampio del fiume Marecchia offriva un attracco sicuro e adatto alle navi che risalivano il fiume, tanto che questo tratto venne chiamato il “piccolo mare”. Dunque era praticamente il porto di Rimini posto a quindici chilometri nell’entroterra. Ne doveva avere di acqua all’epoca, oppure il livello del mare era molto più alto!
Risalendo il lato sinistro del fiume ci si imbatte in ciò che resta del castello di Torriana, praticamente una torre piuttosto malconcia. Torriana è il paese che si vede sotto, purtroppo tristemente famoso come base della famigerata “banda della uno bianca”. Forse ricorderete la scia di sangue che lasciò, nella Romagna degli anni ’80 e ’90, questa spietata banda di rapinatori che non esitava a uccidere chiunque si frapponesse ai loro intenti. Alla fine si scoprì che il gruppo di esaltati era capitanato dai fratelli Savi, due dei quali erano poliziotti in servizio a Bologna e a Rimini. Abitavano e partivano da qui, una pagina davvero triste di questi luoghi.
Poco dietro, ancora risalendo, si trova questo splendido castello: Montebello. E’ famoso e visitabile per una storia davvero curiosa, la leggenda di Azzurrina che ancora “pare” vi si aggiri. In realtà la storia ha delle radici vere, quelle di Guendalina. Figlia di un certo Ugolinuccio o Uguccione, feudatario di Montebello nel 1375, fu la protagonista di un triste fatto di cronaca. Era il 21 giugno di quel lontano anno quando, nel nevaio della vecchia Fortezza, la bimba scomparve e non venne mai più ritrovata. Questa in breve è la sua storia che, tramandandosi oralmente per circa 3 secoli, si arricchì di elementi di fantasia. Ma perché se ne parlò tanto? Il motivo lo si apprende da una miscellanea di racconti della bassa Valmarecchia: “… aveva gli occhi color del cielo e i capelli chiari coi riflessi azzurrini …” Da qui dunque deriva il soprannome di Guendalina e la sua suggestione, dal tentativo di nascondere i capelli bianchi di una bambina albina, all’epoca vista come una “diversa”. E’ per difendere la figlia che i genitori le tinsero i capelli, ma il bianco dell’albinismo non trattene il colore, reagendo al pigmento diventando azzurro…
Intanto ho fatto quasi le undici e si comincia a ballare sul serio. Uff, peccato, avrei voluto fare un salto a salutare gli amici dell’Aviosuperficie di Santarcangelo di Romagna, ma pazienza, è meglio che mi diriga al “mio” campo improvvisato, tiro tutta la barra, do un po’ di gas e con il vento in culo tocco la folle velocità di 80 Km/h.
Buon Ferragosto a tutti i volatori, urbi e orbi.
Stupendo. Per chi ha vissuto quei luoghi un tuffo al cuore.
Belle foto e piacevole racconto
Bravo