Aero (si fa per dire) turismo: i borghi fortificati
Era un po’ che mi frullava per la testa questo piccolo progetto. Nelle mie scorribande volanti fra le valli di confine fra Marche e Romagna, avevo notato diversi borghi cinti da possenti mura ma privi della classica fortezza. Praticamente un paese appollaiato su una qualche collinetta, tutto compreso nelle mura di cinta e niente o quasi intorno. Poi, quando le valli si inerpicano e i pendii circostanti cominciano a superare i 6-700 metri, più niente del genere mentre cominciano ad apparire rocche e castelli sulle alture.
Indagando qua e là, scopro che le fortificazioni di questi borghi della bassa valle sono state la risposta alle scaramucce dei signorotti locali a partire dal tardo Medioevo e fino al Rinascimento, con un picco durante le guerre che hanno visto scontrarsi duramente il Duca urbinate Federico Montefeltro con Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, con il primo che alla fine ha avuto la meglio. Erano contemporaneamente avamposti e guarnigioni e, poiché poste appena sopra la pianura, prive quindi di “difese orografiche”, per la difesa le si circondava di alte e spesse mura.Terminata nel 1630 la dominazione dei Montefeltro, tutto il territorio è tornato alla Chiesa e le rocche, pur quasi sempre presenti all’interno dei borghi, sono state sostituite dalle chiese collegiali man mano che i manieri crollavano nell’incuria, riutilizzandone i materiali. Ecco il motivo per cui oggi li vediamo privi di rocche e castelli.L’altra sera con Tino, il mio compagno di merende volanti, abbiamo pensato che fosse ora di un primo tour fotografico dal basso dei cieli, nei colori del tramonto di inizio autunno. Purtroppo nella seconda parte del giro, una densa e alta foschia ha mascherato il sole basso, fregandoci i colori più belli. Pazienza, si va!Anzi, si aspetta. Ma cosa ha visto Tino che non si decide?
Ah ecco, c’è l’Asso V che rientra dalla prova dopo un intervento sui flap. Occhio di lince! Adesso si va davvero. Guardate come salgono i nostri trespoli, questa è la quota raggiunta a due terzi di pista lunga 450 metri…
Il primo borgo che incontriamo è Sant’Angelo in Lizzola, uno dei pochi a non avere una forma più o meno circolare. In zona è noto per aver dato i natali a Giovanni Branca nel 1571. Questi fu architetto della Santa Casa di Loreto, lasciando in quella città molte opere importanti. Ma pochi sanno che fu il primo a pensare di utilizzare il vapore come forza motrice: nel trattato “Le Machine” spiega come possa essere utilizzata la sua invenzione e quali benefici se ne potessero trarre. Giù il cappello!
Facendo rotta a Sud, arriviamo poi a Mombaroccio. La tradizione vuole che esso sia stato costruito con i ruderi di cinque castelli già esistenti nelle vicinanze Monte Almerigo, Monte Valerino (ora M. Marino), Monte Arrigo (Monterigo), Monte Calvo e Monte di Pier di Mario, i cinque monti che sono rappresentati ancora oggi nello stemma del Comune. Il nome sembra derivi dal biroccio, il tipico carro agricolo marchigiano. Mombaroccio, infatti, era luogo di scambi posto al confine tra la valli del Foglia e del Metauro. Vi erano probabilmente presenti botteghe per riparare i birocci che vi transitavano.
Se osservate la foto qui sotto, si può notare un curioso campo di giochi posto sotto le mura cittadine. Si tratta dello sferisterio dove si gioca a Palla Tamburello, sport derivato dal rinascimentale Palla bracciale. Mombaroccio è uno dei centri che coltiva questa curiosa disciplina con ottimi risultati.
Ma già che siamo qui, andiamo anche a prenderci una benedizione volante all’Eremo del Beato Sante valà, che non fa mai male!
Ancora un po’ a Sud troviamo poi Cartoceto, borgo molto famoso per il suo delizioso olio. Effettivamente, come potete vedere, gli ulivi non mancano. L’olio extravergine di oliva DOP Cartoceto (l’unico delle Marche) è prodotto principalmente dalle varietà di olivo raggiola, frantoio e leccino (non inferiori al 70%) e da altre varietà minori. La zona di produzione comprende gli interi territori amministrativi di Cartoceto e Mombaroccio, quelli degli ex-comuni di Saltara e Serrungarina e parte del territorio comunale di Fano. Insomma la fascia delle prime colline che stiamo sorvolando. Se non lo sapevate, ora lo sapete.
Virando decisamente verso Sud-Ovest, eccoci quasi sulla riva sinistra del Metauro, il fiume che sfocia a Fano. Qui sorge Saltara. L’ipotesi principale sull’etimologia del nome si ricollega alla tradizione romana, facendolo derivare da Saltus aeris (“bosco del bronzo”) secondo una leggenda facente riferimento all’abbandono, da parte dei Cartaginesi, delle loro armature nei boschi limitrofi a seguito della disfatta subita ad opera dei Romani nella Battaglia del Metauro del 207 a.C. durante la seconda guerra punica, battaglia che ne ha determinato la fine con la disfatta di Asdrubale, fratello di Annibale. Il tutto proprio qui sotto, appena 2227 anni prima di noi!
E questa vicina a Saltara è la Villa del Balì, un interessante museo interattivo della scienza con annesso planetario. Vale assolutamente una visita, soprattutto con i bambini che restano estasiati davanti agli esperimenti che si possono eseguire.
Risalendo brevemente l’argine sinistro, ecco la bella Serrungarina. Il luogo è stato testimone di un triste episodio nel periodo della Linea Gotica, posta proprio alle spalle di queste colline nella predisposizione iniziale. Il 20 giugno 1944 Domenico Serafini e il tredicenne figlio Ferruccio, mentre si recavano con il loro calesse al mulino La Sacca, furono fermati sulla via Flaminia da una pattuglia di soldati tedeschi. Uno di essi prese il cavallo con l’intenzione di sequestrarlo. A quel punto Domenico ne rivendicò la proprietà e frustò il cavallo colpendo accidentalmente alla mano anche il soldato. Poco dopo sopraggiunsero altri soldati e in seguito ad una breve colluttazione il Domenico venne freddato. Morire per il cavallo.
Poco dopo si arriva a Bargni, che ovviamente deriva da “Bagni”, una frazione di Serrungarina. Come vedete, ancora oggi l’acqua non manca, posticino davvero delizioso e sede di un albergo diffuso. Quasi quasi…
Ancora due salti verso Ovest e siamo su Montefelcino. Come dicevamo poco sopra, nel 207 a.C., nella vallata del Metauro, gli eserciti dei consoli Gaio Claudio Nerone e Marco Livio Salinatore diedero battaglia a quello di Asdrubale Barca, che si apprestava a riunirsi al fratello Annibale per fornire così i rinforzi necessari all’attacco finale e decisivo contro Roma. I consoli riuscirono a sconfiggere Asdrubale e così a prevenire il ricongiungimento delle due armate cartaginesi, che avrebbe senza dubbio mutato il corso non solo della seconda guerra punica ma della storia dell’Occidente, mica bau bau micio micio… Ecco, sappiate che la nostra storia è cambiata proprio qui sotto, tra questa cittadina e il fiume sottostante!
Puntando nuovamente verso Nord, ormai è ora di rientrare, ci imbattiamo in questo paesello, giusto 300 anime, Montemontanaro. Il centro storico è di forma circolare, attorniato da mura che una volta concedevano un solo ingresso sotto una costruzione ad arco che è stata purtroppo distrutta nel 1948 per motivi inspiegabili; ora l’accesso avviene in due punti di interruzione della cerchia muraria. Il paese ospita il curioso Museo degli antichi mestieri itineranti, una curiosa selezione di biciclette utilizzate da artigiani e commercianti che un tempo percorrevano le strade di paesi e campagne vendendo merci oppure offrendo servizi non disponibili sul posto. I mezzi erano equipaggiati di strumenti, attrezzature ed accessori che permettevano di esercitare in qualsiasi luogo mestieri quali il sarto, il barbiere, l’arrotino, il falegname, il calzolaio. Altre bici erano attrezzate per la vendita di articoli di merceria, la consegna a domicilio del pane e del latte e anche la vendita di pesce fritto. I mestieri itineranti erano un tempo assai diffusi e la raccolta documenta, attraverso le biciclette esposte e una serie di foto d’epoca, un periodo che va dagli anni venti agli anni cinquanta del ‘900. Oggi questa zona è molto famosa per tutt’altro, ovvero i vigneti di Bianchello d.o.c., che con la frittura dei pescatori di Fano… è la morte sua!
E’ tardi, è tardi, filiamo verso il nostro Campo, il sole si nasconde dietro un’umida foschia, c’è giusto il tempo per sorvolare Petriano, uno dei più piccoli comuni d’Italia, eccolo qui sotto
Proprio alle spalle di questo borgo, non ci crederete, ma sul fondo della stretta valle detta “Palazzo del Piano” in località Pianarolo sorgeva… un aeroporto! Siamo infatti a ridosso della Linea Gotica e la RAF pensò bene di livellare una bella striscia di terreno, ancora oggi ben visibile, per destinarlo alla ricognizione. Oltre alla casa colonica si stabilirono in tende da campo e poco altro, tanto che il campo non fu mai scoperto, né bombardato. I vecchietti del luogo mi hanno raccontato che vedevano letteralmente sparire gli Auster dentro al monte (Cesane) che chiude la piccola valle a Sud, senza capire che fine facessero! Ecco la striscia verde ripresa dal basso. Un mese fa ci siamo atterrati dopo la mietitura del grano. Emozionante!
C’è solo più il tempo per sorvolare Montefabbri, che si trova proprio sopra il nostro campo di volo, cittadina antichissima, addirittura medievale, ha dato i natali a quel Sante dell’Eremo del Beato Sante di cui abbiamo parlato all’inizio di questa cronaca! Quando arrivo qui, ho solo una cosa da fare, salire fino a 1000 m di quota, spegnere il motore e godere come un riccio fino a posare le ruote sulla pista! Alla prossima!